sabato 14 luglio 2007

Prima lettera di Gian Paolo 21 aprile 1831




Stimatissimo Sig. Panajotti
E' doloroso, purtroppo doloroso il passo a cui mi ha trasportato la disperazione, ma non mi restava altra via, doveva prenderla o cessar di esistere. I miei parenti ripetono che mai consentiranno alla mia unione con Angelica, il di lei onore l'impedisce di darmi il suo consenso senza quello dei miei, una passione prepotente mi divora che altro poteva io fare? Le mie intenzioni sono serissime, e sul mio onore prometto che Angelica sarà unita a me il più presto possibile con valido matrimonio, ne Ella deve temere per la sua salute poché un moto violento e un pronto cambiamento d'aria sono i soli mezzi che possono rendergliela. Voglia Sig Palli essere indulgente con me, onde non gli apparisca una colpa non giudichi con indifferenza di una passione violentissima, si muova a compassione di noi e non disperi un giorno che con Angelica non facciamo voti per la sua felicità. Io fido nella di lei bontà come spero che Ella fidi nel mio onore e vivo nella dolce lusinga che Ella vorrà benedireil suo

Aff° Obb° Figlio
Gio Paolo Bartolomei

Dicava 21 Aprile 1831

mercoledì 11 luglio 2007

Il ritrovamento


Il 27 febbraio 1843, poche ore prima di morire, Panajotti Palli pronunciò il suo testamento: Michele Palli era nominato erede universale.
Sofia, unica figlia superstite di Michele e nipote di Angelica, sposò Adriano Bargellini, il quale nella prima metà dell'Ottocento aveva fatto costruire una villa a tre piani destinata alla villeggiatura estiva quasi sulla vetta della Valle Benedetta, luogo ameno e immerso nel verde del bosco situato a pochi chilometri da Livorno, da dove si godeva un panorama incantevole. Nel 1888 la Villa Bargellini, insieme al suo parco, alla stalla e ad altri annessi passò al figlio Tommaso. Caduto in rovina, nel 1903 Tommaso Bargellini vendette la villa, insieme alla mobilia e a tutto quello che conteneva, all'imprenditore di origine tedesca Luigi Huber e questi, nel 1931, la lasciò in eredità alla figlia Edwige , la quale aveva sposato Enrico Martolini. Il secondo piano della villa, un tempo riservato alla servitù, fu adibito a ripostiglio, usato per ammassare oggetti in disuso e per conservare sparse su teli uva e patate. Quivi tra le altre cose giacevano abbandonate delle casse di legno appartenute ai Bargellini e tra queste una cassetta contrassegnata su un lato da un simbolo stilizzato entro il quale figuravano due lettere dipinte in nero, "P P", e una data "1826". Questa cassa era appartenuta, infatti a Panajotti Palli, prima di passare a Michele e da questi a Sofia, per finire nel secondo piano della villa. Nella cassa,tra una gran quantità di documenti commerciali, inventari, attestati di compravendita, ricevute di pagamento, un libro di conti, che peraltro reca sulla copertina lo stesso simbolo stilizzato dipinto sulla cassetta entro il quale figurano "P S", iniziali di Pietro Scarpi, cognato di Panajotti, e una gran quantità di carte appartenute a Michele Palli, erano rimaste conservate anche numerose lettere indirizzate dallo stesso Michele da svariati corrispiondenti e, infine, delle lettere appartenenti a suo padre Panajotti, conservate in modo del tutto fortuito e stranamente confluite in questa cassetta.
A partire dagli anni Ottanta la Villa di Valle Benedetta da casa di villeggiatura divenne residenza del figlio di Edwige ed Enrico, Mario Martolini, il quale tra le altre carte mescolate nella cassa, riportò alla luce una parte delle lettere indirizzate a Panajotti, consistente in 42 carte, che attirarono a tal punto la sua attenzione da indurlo a riordinarle cronologicamente. La signora Edwige Huber Martolini visse fino all'età di 95 anni e alla sua morte, nel 1993, lasciò il secondo piano della Villa alla nipote Enrica Martolini, la quale ritrovò nella cassetta delle altre lettere indirizzate a Panajotti.
L'intero corpus di loettere a Panajotti, insieme ad altre epistole indirizzate a Michele e poche altre carte di contenuto vario, fu acquistato in due momenti successivi dal Centro di Documentazione e Ricerca Visiva-Sezione di Storia Locale della Bliblioteca Labronica, sede di Villa Maria ed è qui consultabile.

martedì 3 luglio 2007

Prima lettera di Angelica 28 maggio 1831


Mio caro Pappà
Roma 28 maggio 1831
Io non osava scriverle finchè non aveva la certezza merito la quale il mio errore può esser riparato,...avendo ora questa certezza oso implorare un perdono di cui la speranza è fondata sull'eccesso della sua paterna tenerezza, su quanto ella ha già fatto per me, e sull'intima persuasione di aver avuto, quando il troppo soffrire mi aveva ridotta a non aver che un'idea sola distinta: il fare qualunque fosse dell'angoscioso mio stato: possa io riacquistare la salute per dedicare la mia vita a provarle che il mio core non ebbe parte nei mali di cui le sono cagione. Forse nella ventura settimana dovremo partire per Genova, deh consenta ch'io parta col suo perdono, esso sarà per me un farmaco salutare, mi darà forza a reggere al lungo viaggio; creda ho avuto molto, ma ho pure molto sofferto...concedete la paterna benedizione a una figlia il cui solo desiderio è di vivere per farle dimenticare le angosce di quest'epoca disgraziata
Angelica Palli

Una scoperta in una soffitta

Negli anni '70 nella soffitta di una casa di campagna su una collina in prossimità di Livorno, fu trovata una cassa con dentro antichi scritti. Curiosando tra lettere, fatture, ricevute ecc. vennero alla luce alcune lettere della scrittrice livornese Angelica Palli. In questo blog desidero parlare di questa scoperta e se ne avrò il tempo trascriverò anche alcune lettere.